Mark Spinger contempla le vie a Midnight surf sotto la pioggia del giorno di riposo
Midnight Surf: erano tutti col piumino. Il sole c’era, ma da un’altra parte. La falesia non la toccava nemmeno. Per fortuna, Iniquity, il 7b/+ che avevo deciso di provare, o meglio su cui avevo “defaulted” (cosa che significa scegliere un tiro per forza di cose, a causa del traffico sugli altri), era ideale per le basse temperature. Un blocco di tre movimenti su grinze inesistenti e piedi disegnati, seguito da riposo su cengia senza mani e poi cavalcata da presa buona a presa buona, con gli allunghi tipici del settore.
Tanto per capirci, qui solo Ramonet si potrebbe permettere di essere più basso di 1,60, sui tiri duri. In alcuni punti, o ti allunghi e ci arrivi, o lanci e basta.
Farò un esempio pratico di quanto l’altezza possa essere determinante, quasi vitale, su un banale 7b come Iniquity. Fra il secondo e il terzo rinvio una lama rovescia permette di superare una banchetta e raggiungere una tasca buona. Bisogna alzarsi sopra il rinvio sottostante, ma il movimento è abbastanza scontato. Peccato però che la lama scricchioli paurosamente e che, a ben guardare, si possa notare una croce disegnata sotto col gesso. Va bene, non posso usarla. Ciò significa che devo in qualche modo allungarmi dalla presa più in basso fino alla tasca in alto: considerata la mia dimestichezza coi dinamici e la mia mira, lanciare è fuori discussione. Con la cengia appena sotto la caduta è tutto tranne che pulita. Zach, che mi fa sicura, si agita qualche metro più sotto. Per cinque minuti le provo tutte, alla fine mi decido. Alzo il piede destro il più in alto possibile e seguo il consiglio di Mark: “Be tall”. Sii alta. Con la punta delle dita tocco il bordo, striscio ancora un po’, mi tiro su, respiro di nuovo, e Zach con me.
Il boulder iniziale di Iniquity e Mexican Mark
Io però sono unoesettantacinque. Le ragazze che provano il tiro dopo di me arrivano forse a unoecinquanta. La prima si blocca su quel movimento e dopo un balletto di qualche minuto e decide di scendere, temendo una caduta rovinosa. L’altra, ancora più piccolina - ma indubbiamente più forte - prende in mano la situazione, per rassicurare l’amica. “Se io cado e non mi faccio male”, dice, “vuol dire che puoi cadere anche tu.” Prova e riprova, ma non c’è verso, non riesce a essere alta quanto basta. O prende la presa a rischio di rottura, o lancia.
Lancia.
E manca la tasca.
Cade, urta la cengia, si impiglia nella corda e si ribalta più in basso, sbattendo qua e là contro la roccia.
Per qualche secondo tratteniamo tutti il fiato.
Non è successo niente. Si tira su, rassicura gli astanti terrorizzati, e inizia a risalire sulla corda. Torna al punto di partenza, ragiona un po’, si riscalda mentalmente e alla fine inchioda il lancio.
L’amica, sotto, è tutt’altro che rassicurata.
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