martedì 28 febbraio 2012

Kalamazoo!

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Chi l'avrebbe mai detto che si potesse combinare un'uscita domenicale per andare in palestra? Che come noi organizziamo con gli amici di spostarci in macchina per raggiungere una qualche destinazione arrampicatoria più distante, qui a Detroit (che purtroppo non è Boulder) ci si metta d'accordo per affrontare in compagnia due ore di macchina e cambiare aria, o meglio, cambiare tracciatura? La proposta arriva da Jessie, la regina della palestra, un concentrato di muscoli, grinta e vitalità che metterebbe in soggezione chiunque. Boulderista dedicata, Jessie è il motore delle nostre sessioni di blocchi, anima il gruppo e lancia incoraggiamenti a tutti quelli che si cimentano; non solo, ma si congratula con il famigerato "batti il cinque", che noi credevamo retaggio di tempi andati. E ti fa sentire subito parte del gruppo.

Jessie ci invita ad unirci a loro per andare alla palestra di Kalamazoo (sono gli anglofoni che con i nomi non hanno fantasia…) con tanto di cena insieme per il rientro.

Arriviamo a destinazione verso mezzogiorno; immancabilmente il pavimento è fatto del solito materiale blu a sfondamento, ci si può cadere senza problemi anche da un blocco alto; qualche materassone in stile pad costella la zona boulder, e i profili più strapiombanti sono protetti da un materasso più simile a quelli che troviamo in Italia.

Pare che abbiano il gusto del blocco alto, da queste parti, come anche giù da noi a Ann Arbor, e spesso del blocco alto con lancio finale; in più il muro di Kalamazoo prevede la ribalta; si soffia, si suda, le unghie grattano per fare presa e non scivolare giù in stile Will Coyote, di nuovo vittime della forza di gravità. Gli altri fanno il tifo, esortazioni e incoraggiamenti da video, dello stile “C’mon, finish it up!” o anche “U can do it!” Condito da un “Nice try” se non ce l’hai fatta ma hai dato tutto, e un “Good” o “Great job” se invece il blocco l’hai chiuso. Ma caspita, funziona! La motivazione è alle stelle, ci ritroviamo a scalare fino all’ultimo minuto, quasi quattro ore ininterrotte di blocchi. Cose dell’altro mondo…

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giovedì 23 febbraio 2012

Think big

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Quando sono atterrata in Italia e mi sono ritrovata a viaggiare in macchina lungo le nostre strade, ho capito qual è forse la differenza più grande, o almeno la più evidente. Sono le dimensioni. Dopo un mese di esposizione agli spazi USA, tutto qui sembra piccolo, compresso. Le strade, le macchine, i parcheggi, ma anche le case e la loro disposizione. E’ pur sempre vero che Troy, a mezz’ora da Detroit, non è una zona densamente popolata e che lottare con il traffico di New York o LA sarebbe diverso; ed è pur sempre vero che Detroit è la città industriale per eccellenza, il luogo di santificazione della macchina e del suo uso, dove ogni cosa sembra concepita per la coppia uomo-macchina; ma ovunque negli Stati Uniti si respira una concezione diversa dello spazio e forse, di conseguenza, le dimensioni di ogni cosa sono enormi per i nostri parametri.

Spesso prendiamo il caffè da Starbucks, l’unico posto in cui l’espresso si può chiamare tale. Viene servito nel tipico bicchierone di carta on the go, da piazzare in macchina e sorbirsi lungo il tragitto. Chiaro che un espresso in un bicchiere di quelle dimensioni sembra ben poca cosa, e solitamente i baristi ci guardano quasi interdetti, come se si sentissero in colpa a lasciarci andare via con la coppa praticamente vuota, dopo avere pure pagato.

Non parliamo delle dimensioni dei parcheggi: dove noi facciamo stare due o tre macchine, loro trovano posto a malapena per una. Be’, è vero, fare manovra risulta molto più semplice (anche se temo che dopo due anni laggiù non sarò più in grado di muovermi negli spazi angusti dei centri urbani italiani) e le svolte non creano i tipici tappi che si formano a Torino. In prossimità degli incroci le strade si allargano per far nascere corsie di svolta, e raramente si sentono i concerti di clacson che allietano le nostre ore in macchina.

Un consiglio di sopravvivenza per chi atterrasse negli Stati Uniti senza conoscenze pregresse: non vi fidate MAI quando qualcuno vi spiega la strada dicendo “A due passi da qui” oppure “Appena dietro l’angolo”. E’ falso. Due passi sono almeno mezz’ora a piedi, e ricordate che loro due passi a piedi non li fanno mai; dietro l’angolo non sono certamente meno di due miglia, quando va bene, visto che gli isolati spesso inglobano centri residenziali o commerciali. Pensare di fare quei due passi a piedi significa che poi vorrete prendere il taxi per tornare indietro. E se non siete a New York, non sperate nei mezzi pubblici...

sabato 18 febbraio 2012

The Detroit Rock Climbing Company - 2

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(Nick Cocciolone)

Vince mi passa una presa grande, un grosso svaso, e mi mostra come all’interno sia tutta vuota, scavata.

Un vantaggio dato dall’uso del poliuretano. I fratelli mi spiegano che negli Stati Uniti quasi tutti, ormai, usano la plastica anziché la resina, sia perché si presta a lavorazioni diverse, sia perché non è tossica. Non si tratta esattamente di plastica, mi corregge Nick; il poliuretano è più simile alla gomma.

Mi fa notare che il bordo è flessibile, proprio come se fosse di gomma. Un buon modo per evitare che le prese si sbecchino come spesso succede.

E’ difficile dire se il discreto successo che la DRCC sta avendo sia un fattore della novità, come spesso accade in questo mercato; tipologie di prese nuove sono ricercate dalle palestre e dai tracciatori perché creano varietà e introducono variabili sconosciute anche ai più incalliti esperti della plastica.

Nel frattempo, non mancano i nuovi progetti. La compagnia e la palestra dovranno infatti lasciare lo stabile di Pontiac, che risente anche della crisi economica e delle scarse possibilità di sviluppo della zona, per spostarsi verso cittadine più vivaci e benestanti. Tra le opzioni al vaglio, Madison Heights e Troy (detto fra noi, sarebbe un bel colpo di fortuna avere la palestra attaccata a casa!) Considerato che, negli anni ’90, in tutto il Michigan si contavano poche migliaia di arrampicatori, Planet Rock ha giocato un grande ruolo nel far conoscere l’arrampicata e nel permettere di praticare l’attività ai dilettanti (quelli che vanno ad arrampicare come andrebbero in piscina) e ai semi-professionisti (quelli che non sono professionisti, ma si allenano come se lo fossero). Tra le altre cose, Nick ha collaborato e tuttora collabora con Robin Erbesfield - Robin e Didier Raboutou sono amici di lunga data dei fratelli Cocciolone - nel programma per bambini “ABC”, formando con molta passione anche piccoli atleti e futuri arrampicatori giramondo.

Per quanto ci riguarda, possiamo solo essere contenti che anche in Michigan ci sia un “pianeta roccia”….

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lunedì 13 febbraio 2012

The Detroit Rock Climbing Company

The Detroit Rock Climbing Company.

Si nasconde nello scantinato della palestra di Pontiac, dietro una porta nel muro boulder - su cui comunque erano state attaccate prese e tracciati blocchi - da cui da tempo vedevamo uscire e entrare gente. La curiosità di capirne di più ci era venuta dopo che avevamo iniziato ad apprezzare le prese che la compagnia produce; prese in cui solo la parte destinata alla prensione è rugosa, laddove tutto il resto della superficie è invece liscio, liscissimo.

Immaginate ad esempio un bidito: solo l’occhiello interno offre attrito, inutile pensare di appoggiarci un piede. Il primo impatto era stato traumatico, ma era chiaro lo scopo: mettere in difficoltà l’arrampicatore, costringerlo a un uso ristretto o limitato dell’appiglio-appoggio.

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Finalmente, oggi abbiamo conosciuto i due fratelli che mandano avanti la compagnia e le due palestre Planet Rock, Ann Arbor e Pontiac. Sono di origine italiana. Vincent e Nick Cocciolone.

Ci hanno aperto la porta del basement, mostrato le rastrelliere cariche di prese colorate, e ci hanno raccontato perché a Detroit - la “motor city” - c’è una “climbing company”.Negli anni Novanta, Nick gareggiava a livello nazionale, ma non aveva a disposizione una struttura per allenarsi, le palestre più vicine erano ad Albion o Grand Rapids, entrambe a più di un’ora di distanza. Di roccia su cui arrampicare a meno di sei ore di distanza non se ne parlava nemmeno.

Aprirono il primo muro, quello di Pontiac, nel 1994, con l’intenzione di farne anche un business, al di là dell’uso personale. In linea con le preferenze dell’epoca, la maggior parte della superficie fu destinata alla scalata con la corda; mentre quando si trattò di progettare e mettere in piedi Ann Arbor, solo pochi anni dopo, nel 1999, il bouldering aveva già iniziato a prendere piede, e si era così guadagnato uno spazio molto ampio, su due livelli, nel progetto di Nick. Contemporaneamente all’apertura del muro, Nick e Vince iniziarono a valutare la possibilità di produrre personalmente le prese, che rappresentavano la spesa maggiore nella gestione della palestra. Vince, che nel novero delle sue attività includeva anche quella di tracciatore, aveva sperimentato l’effetto che le prese lisce e lucidate della Voodoo facevano sugli arrampicatori. Li obbligavano a usare solo una parte della presa, senza possibilità di appello. Il sogno di ogni tracciatore, che lo scalatore esegua la sequenza di movimenti come lui l’ha pensata, senza scorciatoie.

La sperimentazione durò qualche anno, mentre i Cocciolone valutavano la convenienza di lanciarsi nel business delle prese; perché fosse vantaggioso produrle per i propri muri, era necessario poterle anche vendere.

Vince racconta che non fu facile ottenere l’effetto che cercava, rendere le prese così lucide, e pare che per ora nessuno dei tanti concorrenti della DRCC sia riuscito a imitarlo.

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(segue)

giovedì 9 febbraio 2012

Rigorosamente indoor - Ann Arbor

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Ci sono volute quattro visite alla palestra di Ann Arbor, ma alla fine abbiamo rotto il ghiaccio. Per quasi un quarto d’ora abbiamo parlato con gli arrampicatori autoctoni, scambiato mail e numeri di telefono, concordato i giorni in cui trovarsi in palestra. Sembra banale, ma è bastato per una bella dose di entusiasmo, e tornando a casa in macchina abbiamo deciso una volta per tutte che Ann Arbor batte Pontiac. Dopo essere stati a Pontiac, credevamo che il clima fosse freddino ovunque, che la gente fosse chiusa e diffidente in generale, e invece no. Solo nella palestra di Pontiac, a quanto pare. Probabilmente il fatto di trovarsi in una zona così depressa non è molto incoraggiante, e l’atteggiamento da duri conviene.
Bisogna di nuovo chiarire che il Michigan - per chi non l’avesse ancora capito - non è terra di arrampicatori. Tutti gli appassionati, se e quando possono, si trasferiscono in Colorado. Boulder è la mecca di questi pellegrinaggi, e lo è a ragion veduta, trattandosi di una città a misura di sportivo. Fare sport è praticamente obbligatorio. Possibilmente sport ad alto livello. Va bene, lo confessiamo, siamo venuti qui apposta per non sentirci delle mezze calzette.
Qui la media è bassa, l’approccio è in genere poco sportivo e molto rilassato, ma non potrebbe essere altrimenti, in uno stato dove di roccia non se ne trova nemmeno per sbaglio; in compenso, però, quelli che sono più motivati lo sono davvero, e appena possono saltano su una macchina o prendono un aereo. Cosa che faremo anche noi quanto prima...
In palestra, un tesserino magico che ci certifica per la scalata da primi. Per la certificazione è stato necessario superare un piccolo test di sicura dinamica con secchiello, a turno entrambi abbiamo scalato e siamo caduti, mentre l’altro dimostrava che era in grado di tenere una caduta senza far schiantare il partner a terra e senza steccarlo con le tibie contro i bordo del tetto.
Detto per inciso, anche se uno di noi fosse caduto fino a terra, si sarebbe fatto poco o niente. Infatti il pavimento - se si può chiamare così una superficie simil-moquette su cui si cammina come sulla luna, a rimbalzo - è pro-sfondamento: in caso di una caduta, inghiotte lo sfortunato in un mondo sotterraneo di gommapiuma a strati.
La cosa più curiosa è il sistema di autosicura che permette di affrontare le temibili pareti dal 5.8 al 5.10 (ovvero dal 5° al 6a+). Un argano recupera in automatico un cavo che l’arrampicatore sgancia dal muro (possibilmente senza lasciarlo andare) e si aggancia all’imbrago, accompagnando prima la salita e poi la discesa. Abbiamo provato per voi.
Finchè si tratta di salire tutto bene… Ma arrivati alla presa di catena, non è stato facile decidere di lasciarsi andare. Il cavo sembrava molle, come se non offrisse alcuna resistenza. Fa effetto non avere nessuno a cui gridare “Blocca”…

venerdì 3 febbraio 2012

Tempesta di neve

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Ci siamo sempre chiesti come potesse essere, l’iperspazio, e infine l’abbiamo scoperto. Sulla interstatale 75, quella che attraversa tutto il Michigan. Una tempesta di neve in piena regola, vortici di fiocchi bianchi spinti da un vento a 30 chilometri all’ora, la strada che sembra una pista da sci; impossibile trovare punti di riferimento attorno a noi, bisogna aggrapparsi al volante per evitare che la macchina sbandi. Unico aiuto, la banda rumorosa sull’asfalto, che ci avverte se ci spostiamo troppo a destra. Tutta le neve che non era caduta prima sembra debba cadere adesso.

Pare che il fenomeno sia direttamente legato alla conformazione del territorio e alla presenza dei grandi laghi; i venti freddi che si scontrano con l’aria più calda (relativamente) dello Huron, Michigan e Superior raccolgono vapore acqueo e lo disperdono sotto forma di neve.

Neanche a dirlo, i servizi meteo sconsigliano puntualmente di mettersi in viaggio in simili condizioni di instabilità. Adesso abbiamo capito perché…

Nonostante la visibilità praticamente nulla, ogni tanto qualche macchina ci supera a velocità sostenuta, alzando dietro di sé una nuvola di neve. Ci chiediamo come facciano a viaggiare ai 120, e possiamo solo ipotizzare che siano abituati alle condizioni e che conoscano le strade come le loro tasche. Ci dobbiamo ricredere subito, quando ritroviamo un SUV - di quelli che ci avevano sorpassato - fermo, contro mano, quasi fuori carreggiata, dopo qualche decina di minuti, segnalato dai lampeggianti blu e rossi della polizia. Sì, sì, sapranno guidare, commenta Jako. Ma io vengo dalle Alpi, a casa mia ci sono le curve!

giovedì 2 febbraio 2012

Stokely

Qualche foto di Stokely… Anche se adesso forse c’è più neve in Italia!