lunedì 30 aprile 2012

Jungla, serpenti e affini

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(above: we compared it to a doc by Kentucky gov, and we’d say it’s a Black Rat Snake… non venomenous!)

La cosa incredibile di questi viaggi è lo scarto climatico fra uno stato e l’altro; in Michigan è ancora inverno, in Kentucky estate inoltrata. Le previsioni annunciavano temperature superiori ai 20 gradi, ma di nuovo si sbagliavano, perché qui ce ne saranno almeno 30. Attorno a noi, la giungla prende vita, gli animali che la settimana prima erano ancora nascosti iniziano a strisciare, volare, ronzare, affacciarsi guardinghi fra una pietra e l’altra.

Il primo incontro con una creatura della foresta avviene a fine giornata, nel settore chiamato Bob Marley. Una volta pressoché abbandonato, una sorta di “falesia fantasma” dove nessuno metteva piede, regno di alcuni progetti impossibili, una manciata di vie di tetto corte e boulderose, e alcune chiodature incomplete. Fino al 2007, quando proprio Bob Marley offre la chicca finale del Petzl Roc Trip, la “ultimate route”: 50 words for Pump (non so a voi, a me di parole per descrivere la ghisa su questi strapiombi ne servono molte meno). Il progetto fino a quel momento irrisolto viene salito da Fuselier, che conferma il grado 5.14c - duro - e apre la stagione d’oro di Red River, che diventa a pieno titolo una delle destinazioni dei top climber di tutto il mondo.

Qui incontriamo Jon e Dylan, venuto a confrontarsi con la “bestia”. Appena dietro l’angolo troviamo Route 22, una via accattivante, un magnifico 5.12 di placca, con un impressionante run out per arrivare in catena, su un’inclinazione purtroppo poco adatta alle cadute lunghe. Rose, una ragazza con i riccioli e un sorriso ammaliante, ci racconta tutta felice di essere finalmente riuscita a chiuderla dopo un volo terribile dalla catena, in cui aveva sbattuto di faccia contro la cengia. Però. Motivati anche dal desiderio di evitare simili incidenti, facciamo valere la nostra reputazione di arrampicatori da placca (è la scusa con cui spieghiamo agli amici perché sugli strapiombi facciamo tanta fatica!) e mettiamo il segno di spunta anche a questa. Quando i muri verticali saranno finiti verranno i tempi duri…

(sotto, Dylan su No Redemption, 5.13b)

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Stiamo lasciando la falesia quando Jon vede il serpente, un attimo prima che Dylan gli passi molto, molto vicino. Non è un Copperhead perché è tutto nero, e non sembra nemmeno molto aggressivo, ma non abbiamo voglia di verificare la sua pericolosità. Mentre Jaco gli fa qualche foto, una lucertola (o una salamandra?) spuntata da una roccia vicina lo osserva; a mezzo metro da dove siamo noi, non sembra minimamente spaventata, anzi, pare curiosa.

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Un documento ufficiale del governo del Kentucky spiega che il miglior modo per identificare un serpente velenoso consiste nel guardarlo negli occhi: i tre esemplari velenosi, appartenenti al gruppo delle “pit vipers”, hanno le pupille verticali, mentre i serpenti inoffensivi le hanno rotonde. Bisogna già essere abbastanza vicini… Sullo stesso documento identifichiamo il nostro amico: è un Black Rat Snake, non velenoso, uno dei più grandi della zona. Si nutre di topi e ratti e viene definito un buon arrampicatore: questo spiega perché si trovasse in un settore così duro!

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mercoledì 25 aprile 2012

Il Lode

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“All’inizio mi facevo condizionare molto dalle previsioni”, ci spiega Mark, “ma poi ho capito che non ci si può fare troppo affidamento.”

“Quindi si scende lo stesso”, aggiunge Zach, rispondendo allegramente alle mie domande sulle condizioni per il fine settimana.

Ad ogni modo, pare che questa sia una delle volte in cui la meteo non ci ha preso, visto che di sole non c’è nemmeno l’ombra, e anzi la pioggia non accenna a smettere, né il cielo ad aprirsi. Nessuno si scompone, pazienza per l’umidità, pazienza per il freddo. Del resto, dopo aver affrontato un viaggio così lungo non ci si può mica lamentare, no?

Oltretutto, molti settori di Red River offrono riparo dalla pioggia, e alcuni non si bagnano nemmeno sotto il diluvio; quasi non ci si accorge nemmeno che sta piovendo. Neache a dirlo, il Motherlode è uno di questi.

Di fronte alla scelta fra uno strapiombo a 35 gradi e un muro inclinato a 15, io propenderei naturalmente per la seconda opzione; ma d’altro canto sia a me sia a Jaco sembra quasi un’eresia, trovarsi in un luogo simile e preferire una parete verticale. Venduto. Vada per gli strapiombi. Si parte con Chainsaw, un modesto 7a+ (si fa per dire…)

Il primo problema che incontriamo (anzi che incontra Jaco) è un ragno gigantesco annidato sulle prese che portano alla catena; e quando dico gigantesco, voglio dire proprio grosso, e peloso.

Mark, calandosi dal tiro di fianco, riesce a buttarlo giù; cade a piombo come se fosse una pietra, con lo sguardo riusciamo tutti a seguirlo distintamente, e a vederlo atterrare. Ma anche risolto il problema ragno, il nostro rapporto con quel tiro, e con quelli di fianco, non accenna a migliorare. Quasi quasi ci spostiamo…

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(sopra, Jaco su Heart Shaped Box)

Ne valeva la pena. Il tiro si chiama Heart Shaped Box (5.12c); strapiombo leggero, buchi, increspature della roccia da stringere come se fossero tacche. Vado in avanscoperta, talmente rinfrancata dal trovarmi su un terreno congeniale che non mi accorgo nemmeno delle cadute. Dopo New River, difficile avere paura su un terreno davvero sportivo, come questo...

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(sopra, Jon sul Snooker, 5.13a al Motherlode)

Il secondo giorno, come d’abitudine, ci si sveglia presto (un male purtroppo necessario, tirarsi su dal letto alle sette) per poter sfruttare appieno la mezza giornata prima di dover tornare a casa. Arrivare in falesia prima delle nove ha l’innegabile vantaggio di non doversi contendere con nessuno i tiri più facili; soprattutto in un posto come il Solar Collector, che funge da settore di riscaldamento per le zone contigue, molto più dure. Il muro della Gold Coast (guardate la foto di Jon su Golden Boy, per farvi un’idea), con nostro sommo dispiacere offre solo tiri dall’8a in su.

Nonostante il freddo, e l’inclinazione del Collettore Solare, intorno ai 30°, oggi siamo entrambi in buona, e tutto i tiri che proviamo vanno via in scioltezza. Sarà per l’aderenza, o per l’incentivo delle “chocolate covered cherries” (ciliegie ricoperte di cioccolato), riesco a chiudere a vista Supafly (5.12a, il mio primo in terra straniera) e vado da Mark - che distribuisce dette ciliegie a chi realizza la prestazione della giornata - a riscuotere il premio. Come ogni Maestro di Cerimonie che si rispetti, Mark mi consegna solennemente le ciliegie di cioccolato, e io le assaporo il più a lungo possibile. Chissà quanto dovrò aspettare prima di mangiarne altre...

Il volo di Jon è uno dei più lunghi che abbia mai tenuto. Fa il movimento dinamico di Golden Boy dopo il passo duro, e da sotto vedo la luce filtrare tra le dita della sua mano e la presa, afferrata al pelo. Due movimenti lo portano al rinvio, prende corda per moschettare e in quell’esatto momento cade - ma sono riuscita a recuperare un po’ di lasco. Jaco, che sta fotografando, lo vede sparire dall’obiettivo, e io schizzo al primo rinvio, con Jon uno o due metri sopra di me. Dall’altra parte, Zac e Mark sentono solo la respirazione pesante di Jon che si trasforma in una risata liberatoria. Beh, meno male che l’ha trovato divertente!

(Jon su Golden Boy, 5.13b)

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Di fianco a noi, uno dei tanti bambini prodigio che ci sono in giro prova un 8b+, con il padre che lo assicura, paziente. Una telecamera registra tutto, per permettere la successiva analisi e correzione degli errori. Metodo scientifico, massimo rigore, divertimento… giudicate voi. “Adesso voglio che tu faccia bene attenzione”, dice il ragazzino al padre in tono serissimo, quasi seccato, o spazientito. “Guarda bene dove metto i piedi e che movimenti faccio, devo poterli ricostruire, dopo.”

Nuove generazioni…

(sotto, Jon su Snooker, 5.13a)

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lunedì 23 aprile 2012

New River - Endless Wall

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Le abbiamo provate tutte, ma fino a questo momento non siamo ancora riusciti a capire bene quale sia l’edera velenosa. Foglie lucide o opache? Tendenti al rosso o verdi e basta? Vista l’incertezza, abbiamo iniziato a camminare a zig zag, evitando con cura qualsiasi arbusto ederiforme o foglia protesa che fosse, con risultati comici e poca efficacia; e abbiamo altresì evitato di posare zaini e vestiti in punti in cui vi fossero altro che sabbia e pietre. Sospettiamo che una caratteristica siano le foglie attaccate a gruppi di tre, ma dato che ognuno propone un diverso sistema di identificazione, rimaniamo un po’ dubbiosi.

L’edera velenosa è comunque il minore dei problemi, dato che la lista dei pericoli che si possono incontrare in falesia comprende:

- la suddetta edera velenosa, o poison ivy

- gli orsi

- serpenti vari

Per quanto riguarda gli orsi, ne troviamo menzione in un cartello all’imbocco del sentiero che porta a Endless Wall, uno dei settori più scenici di New River, raggiungibile sia attraverso scalette di metallo che scendono quasi verticali verso la falesia, sia in calata (ho dimenticato di inserire nella lista gli avvoltoi; generalmente non danno problemi, a meno che non scegliate male il punto di calata).

Detto cartello spiega che, nel caso di incontro con un orso, è bene evitare di avvicinarsi, mentre conviene invece allontanarsi senza mostrare segni di paura, quindi senza correre e soprattutto senza voltare le spalle all’animale. Un’altra possibilità consiste nel mostrarsi grossi e pericolosi, ma francamente non saprei bene come attuarla.

Pare invece che “fingersi morti o salire sugli alberi non sono soluzioni consigliate”. Nel caso di un attacco, è necessario “reagire cercando di difendersi con qualsiasi strumento a disposizione”. Incoraggiante. Riprendiamo a camminare facendo rumore, come suggerito dalle istruzioni. Ma quando escono dal letargo, gli orsi?

Un altro cartello spiega invece di fare attenzione ai “copperhead”. Dato che la zona è rinomata per il trad, in un primo momento pensiamo che l’avvertimento sia legato ai pericoli dell’arrampicata tradizionale; ma leggendo poi che questi copperhead si annidano nelle fessure, Jaco si rende conto che non stiamo parlando di ferri, ma di un serpente, anzi di uno dei serpenti più velenosi che ci siano al mondo. Giusto nel caso che uno sopravviva all’orso.

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Nonostante tutto, oggi ci va bene. Niente edera, e niente orsi. Gli unici avvoltoi che vediamo non ci prestano molta attenzione.

La falesia è deserta, come al solito, e dopo due primi tiri da malditesta (sfido uno che fa il 6b ad arrivare in catena su questi tiri di riscaldamento) finalmente raggiungiamo l’illuminazione, e capiamo la magia del luogo. Ci abbiamo messo solo quattro giorni, alla fine. Appena prima della catena, la linea di Discombombulated (5.11b, 6c) si sposta sullo spigolo della parete, e in quel momento si rivela tutto il paesaggio sottostante: il fiume, lontano sotto di noi, quasi sfocato nel calore del sole; il verde lussureggiante delle foreste, gli avvoltoi che volano senza emettere un suono e senza movimento apparente. Sembra tutto immobile, e immenso, talmente selvaggio da togliere il fiato. Un luogo che richiede impegno, che non si lascia consumare.

Saliamo in macchina in preda all’esaltazione e spariamo a palla il rock dei Black Keys; rock nelle orecchie, rolling lungo la highway che ci riporta a casa, e senso di totale libertà sotto le dita.

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mercoledì 18 aprile 2012

New River - Kaymoor

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 (In alto, lo spigolo di Scenic Adult, 5.11c, a Kaymoor. Mancando purtroppo arrampicatori in falesia, non siamo  riusciti con le foto a rendere l'idea...)

Chi l'ha detto che i climber americani sono più educati? Mediamente è vero, ma la lotta per il riscaldamento evidentemente fa dimenticare le buone abitudini.

A Kaymoor, come negli altri settori, le vie facili non abbondano. La zona migliore per iniziare la giornata si chiama Butcher’s Branch; purtroppo, le nostre speranze di scalare il mitico 5.9 Flight of the Gumbie sfumano in fretta. Su quello, come su praticamente tutte le vie fino al 5.11c, ci sono già varie cordate all’opera o in attesa del proprio turno. Con cortesia chiediamo ad un gruppetto se possiamo salire il tiro di fianco al loro, l’unico libero. "No, stiamo per partire", spiega un tipo senza imbrago, dando istruzioni a uno scalante in top rope affinché monti anche quella via. Giusto in quel momento lo scalante molla la presa e rimbalza fino a terra, o poco ci manca. Inizia la lotta per riattaccarsi e riguadagnare i metri perduti. "Possiamo mettervi su i rinvii", proponiamo speranzosi.

“Abbiamo appena iniziato a divertirci", risponde secco quell'altro.

Devo trascinare via Jaco (e me stessa) per evitare la rissa.

Ci spostiamo verso Seven Eleven, in cerca di un altro possibile tiro di riscaldamento fuori portata di vista e di udito, ottimo sulla carta, 5.10c. La guida spiega di salire sul blocco staccato dalla parete e di partire da lì. "The first step across the gap would be a doozy if you blew it." Mmm. Se sbagliate il primo passo... Che vuol dire "doozy"? Anche senza dizionario, è facile intuire a che cosa si riferisca la guida. Il blocco su cui salire - ovviamente senza incontrare protezioni  -  è alto circa 3 o 4 metri ed è staccato di un metro dalla parete. Il primo spit della via si trova a tre metri dalla partenza, e i primi movimenti non sono eccessivamente abbordabili. Caduta=doozy=qualcosa di molto, molto, molto brutto.

Meglio un tiro più duro che morte certa; se non altro, i tre 5.11c del settore hanno tre o quattro stelle, e sono dei veri e propri “must”. Unico neo, l’obbligo di pre-moschettonare il primo rinvio: se non disponete di una canna da pesca, dovrete darvi da fare con rami lunghi almeno 3 metri, non sempre facili da maneggiare.

Comunquei, Scenic Adult si rivela all’altezza delle promesse, e ci regala buon umore e speranza; lungo, molto vario, molto esposto ma ben protetto, su roccia a striature nere e rosse (non per niente, la via di fianco si chiama Tony and the Tiger!) Decisamente, una via che non si lascia dimenticare.

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La curiosità ci spinge poi verso White Wall, una zona strapiombante in cui è possibile scalare anche nelle giornate di pioggia, dal lato opposto della fascia rocciosa che costituisce Kaymoor . L’aria è molto più fresca, soffia un vento forte che di tanto in tanto fa schiantare qualche vecchio ramo, e come al solito siamo soli. IL senso di isolamento è fortissimo, sembra che nessuno sia passato da quelle parti per settimane, anche se sulla via più dura della falesia, Pettifogger (5.12c) troviamo i rinvii in posto; ma non sono nemmeno in buonissimo stato, e portano i segni del tempo.

Dobbiamo confessare che inizialmente esitiamo un po’ davanti a quel tiro; per quanto ne sappiamo, potrebbe essere un’altra via impossibile. Fortunatamente, constatiamo che la promessa di uno stile più “sportivo” è stata mantenuta, per quanto anche Pettifogger sia una via di blocco. Una sezione molto dura, lunga due rinvii, per uscire dal tetto; e questo è quanto. Non ci sorprende che Jon avesse trovato facili i gradi di New River; per un blocchista come lui, lo stile della zona è perfetto.

A proposito di passi chiave e passi di blocco, è curioso notare che la guida non risparmia dettagli al limite della teleguida flash, spiegando spesso dove si trovi il chiave della via, tanto con foto di accompagnamento; tanto per fare un esempio, un’immagine a piena pagina inquadra il chiave di Pettifogger, mostrando chiaramente gli appigli a disposizione, mentre la didascalia spiega con esattezza il passo per arrivare al tetto. Con buona pace di quelli che vorrebbero scalare a vista...

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(L’imbocco del sentiero che porta a Kaymoor)

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(Il ponte sul New River)

domenica 15 aprile 2012

New River - Beauty Mountain


Oggi siamo arrivati in falesia preparati. Abbiamo passato in rivista il settore e identificato i tiri da provare, quelli che - almeno sulla carta - sembrano i più interessanti. In progressione logica, dal riscaldamento sul 6b al tiro più impegnativo, con opzione aperta fra 7c e 7b+, a seconda dell'ispirazione del momento.
Il luogo è Beauty Mountain, sul lato nord della gola, con esposizione a sud. Ogni settore ha uno o più accessi, a volte in comune con altri settori, a volte separati; ma idealmente, la fascia rocciosa su cui ci troviamo è la prosecuzione di Endless Wall, che a sua volta è la prosecuzione di Fern Buttress, la zona in cui ci trovavamo ieri.


A Beauty Mountain, la proporzione fra tiri trad e tiri sportivi è abbastanza sbilanciata a favore del trad, ma la guida assicura che alcune vie spittate sono veri e propri gioielli; pare che il 7a più bello di New River sia qui, e Jaco ha dichiarato il suo obiettivo della giornata, un 5.12c (7b+/c) da quattro stelle che Dan Osman aveva scalato in free solo, dichiarando poi: "Il più divertente free solo che abbia mai fatto. Killer route".

Non c'è ancora nessuno, in giro. All'ombra fa ancora freddo, ma Brain Tweezers, il nostro 5.10c di riscaldamento, si lascia scalare. Sul lato opposto del diedro, proprio di fianco a noi, possiamo vedere la linea di un 7a che sembra magnifico, se non fosse che su 20 metri ci sono solo 4 spit; è interessante notare che a New River la distanza fra le protezioni non significa che la sezione sia facile, anzi spesso è il contrario. Fortunatamente, il prossimo tiro della nostra lista - Disturbance, 5.11d - è protetto decisamente meglio ed è sicuramente all'altezza delle quattro stelle che la guida gli attribuisce; ma non sappiamo ancora che cosa ci aspetta su Gun Club, il 5.12c scelto da Jaco. Lungo le pareti incrociamo qua e là qualche gruppetto di arrampicatori, alle prese con la leggendaria durezza dei 5.10 trad della zona. Fessure che dal basso parlano solo di acido lattico, lotta e sofferenza, altro che gradi facili...

Un local ci chiede sibillino se vogliamo provare Gun Club. Sì, conferma Jaco, Com'è?
Mah, risponde quello, in alto c'è poca magnesite...
Come scopriremo a nostre spese, è stato un tipico caso di reticenza malevola.

Parte Jaco. Uno, due, tre... Quarto spit. Muro liscio, rosso e arancione, reso lucido dal sole. Due tacche, di cui una cementata, piedi da spalmare (ma qui non tengono). La presa successiva a distanza di lancio, non meno. Dopo un quarto d'ora di tentativi ci diamo il cambio, forse la tecnica dell'assedio darà qualche risultato in più. Da una verticale piccolina alla microspallata cementata, riesco a tenerla, mi appoggio a una spallata rovescia e tento disperatamente di far materializzare un appoggio che non c'è con la forza del pensiero. La cosa non funziona, ma almeno abbiamo il metodo; adesso tocca ad Andrew metterlo in pratica.

Salgo su un risalto di roccia per fargli qualche foto, e alzando lo sguardo sulla parte alta della via noto che ci sono solo ragnatele, altro che poca magnesite. Reticenza, vostro onore.
Andrew prova e riprova, ma senza un maledettissimo piede non si va da nessuna parte, e nemmeno lui riesce a inventarsene uno con la forza del pensiero. Conveniamo che la ritirata a questo punto sia inevitabile, mentre Jaco cerca disperatamente un video di Dan Osman sulla via, vuole capire il segreto di quella sezione. E pensare che l'ha fatta in slego. Orecchie basse e coda fra le gambe, andiamo a consolarci su un altro tiro raccomandato, Grace Note (5.12b), dove Jaco passa il chiave con un lancio da manuale e il chiodo due metri sotto i piedi.  Ovviamente scopriamo che c'è un metodo migliore, e che si passa da un'altra parte; ma la disfatta del tiro precedente ci ha un po' avvilito, e ormai partiamo dal presupposto che ogni via nasconda boulder insuperabili.
La soddisfazione della giornata arriva, almeno per me, sotto forma del primo 5.8 trad, con protezioni secondo la guida "adegute ma non abbondanti". Se dio vuole, le prese sono talmente grosse che posso stare mezz'ora a controllare di avere piazzato bene il mio nut prima del run out verso la catena. Non cado nemmeno se mi sparano.
"Com'era Gun Club?" ci chiede il tizio che avevamo incontrato prima sotto la via. Sarà una mia impressione, o sta sorridendo davvero?









mercoledì 11 aprile 2012

New River - Fern Buttress

Sette ore sono tante, quasi come per arrivare a Tarne da Torino; normalmente però avremmo affrontato simili distanze con almeno due settimane di tempo a disposizione, non 4 giorni. Destinazione New River Gorge, West Virginia (eh sì, quella di "mountain momma, take me home, country road"). Scendiamo verso sud-est, lungo improbabili freeway con intersezioni semaforiche a raso, finché il panorama piatto dell'Ohio non lascia posto ai profili degli Appalachi. Le montagne, finalmente. Siamo troppo stanchi, ed è troppo buio, per apprezzare veramente. Alle 4 di notte crolliamo sul letto del motel di Fayetteville, WV.

Il fiume, scavandosi un passaggio fra le montagne, ha rivelato nei millenni le fasce rocciose - arenaria - che costituiscono le falesie del New River. Il corso d'acqua serpeggia cinquecento metri più in basso, ma da Fern Buttress non lo possiamo vedere; l'area in cui raggiungiamo Tim e gli altri è poco esposta, arretrata rispetto alla linea della parete.
Scopriamo in fretta che la nostra abituale concezione di falesia mal si adatta a New River, dove difficilmente si riesce a farsi un'idea del profilo che assume, o abbracciare con lo sguardo più di qualche tiro alla volta. Bisogna camminare, seguire il sentierino per andare a cercare il tiro cui si è interessati, cambiando di volta in volta settore; ci si ferma a fare due tiri di riscaldamento, si riparte per scovare la via valutata quattro stelle, si consulta la guida e si scopre che mancano ancora venti minuti al settore che si vuole raggiungere.
Tra i tiri spittati, un paradiso di vie da proteggere.

Dopo il secondo tiro abbiamo già capito una cosa: i gradi bisogna sudarseli. Seconda cosa: date le caratteristiche della roccia, più verticale e meno lavorata rispetto a Red River, i passi di blocco sono l'elemento caratteristico di ogni via, ovviamente proporzionati al grado. 5.10d: bloccaggio furioso. 5.11c (6c+): uscita su bordo piatto degna delle migliori ribalte su boulder. A dire il vero, non ce ne rendiamo conto subito, non in questi termini. Passiamo al piatto forte, un 5.12d; una scelta d'istinto, non possiamo fare a meno di rimanere a bocca aperta davanti al muro arancione, leggermente strapiombante, che domina una piccola radura.
Come al solito, il primo rinvio è a quasi tre metri d'altezza, e non se ne parla di lanciarsi senza la corda passata. Le partenze sono spesso boulderose, e la stessa guida raccomanda di pre-moschettonare la prima protezione. La distanza degli spit non diminuisce salendo, anzi aumenta; bisogna mettere in conto voli lunghi e dotarsi di materiale da abbandono (o recuperare quello degli altri che si trova in abbondanza), soprattutto perché i passi di boulder, come dicevamo, sono proporzionati al grado, e talvolta su un 7c si può trovare un movimento semplicemente infattibile.
Sarà colpa del sole, o sarà veramente troppo duro, ma il chiave della via ci sfugge; le prese sono lì, un buco svaso per la punta di due dita, una presa piatta (ma proprio piatta) come intermedia, e una fessura orizzontale lontanissima. Jaco fa ancora un tentativo, io getto la spugna e suggerisco di spostarsi verso l'ultimo settore, alla ricerca di Fall Line (5.12b, 7b/+), la via più in stile Red River che si possa trovare al New. Venduto.
Passiamo la mezz'ora successiva a camminare sotto un sole feroce, ogni tanto protetti dagli alberi, lungo i sali scendi che conducono all'estremità della falesia. Non incontriamo nessuno, se non i nostri amici che continuano a scalottare sui 5.10. Non c'è nessuno, ed è il week end di Pasqua.


Strano odore, vero? Abbiamo raggiunto la nostra parete, uno strapiombo dalle forme che ricordano in qualche modo il granito, con l'aggiunta di enormi buchi svasi nella parte alta. A destra, una cascata che purtroppo non rinfresca abbastanza l'aria. Ogni tanto percepiamo uno strano odore dolciastro, ma solo dopo qualche minuto ci rendiamo conto che si tratta della carcassa di un animale, forse un cervo, in decomposizione.
Non ci lasciamo scoraggiare, parto per su Fall Line decisa a fare un serio tentativo a vista, nonostante la pendenza a me non proprio favorevole. Ecco, ci risiamo. Passo duro, un lancio a uscire dal tetto. Provo un po' di volte, cerco soluzioni, mentre la gomma delle scarpette si fonde per il calore del sole, e la mia testa pure. Passo oltre, e dopo una serie di rimbalzi al penultimo spit riesco finalmente ad arrivare in catena.
Jaco  risolleva le sorti della cordata, tira fuori le ultime energie e con un po' di informazioni si porta a casa il tiro, dinamizzando tutto quello che può dinamizzare.
Siamo a pezzi, non tanto per la stanchezza fisica, quanto per l'impegno mentale che ogni tiro ha richiesto. Il concetto di arrampicata "sportiva" non è il più adatto a questo posto. Beh, certo, ci sono gli spit, ma mai dove li vorreste, e mai tanti quanti ne vorreste. Abbiamo capito che qui non si scherza.








giovedì 5 aprile 2012

The Gallery

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Nel corso delle ultime 20 ore, le previsioni del tempo sono già cambiate tre o quattro volte. Le probabilità di precipitazioni sono aumentate e l’arrivo della pioggia è previsto per le 12. Niente da fare per il settore Torrent, che si trova su terreno privato e per cui l’accesso è regolato tramite una specie di registrazione-lotteria su internet: dalle sei (del mattino) in poi, i primi che si registrano hanno diritto a entrare in falesia, a gruppi di 4 persone; purtroppo la domenica l’accesso è sospeso, quindi dobbiamo ripiegare sulle altre opzioni che avevamo individuato.

The Gallery però è tutt’altro che un ripiego, anzi. I primi due tiri (5.10c e 5.10d - tra il 6a+ e i 6b+) sono veri e propri gioielli, uno di strapiombo, l’altro tecnico, su balze di roccia stondata in cui gli appoggi sono stati distribuiti con parsimonia, e gli spit anche.

(Mark su Zen and the Art of Masturbation, 5.12d - 7c/c+)

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L’aria è fresca, umida; con la precisione di un orologio, alle 12 arriva la pioggia, ma per fortuna le vie rimangono abbastanza protette perché, come al solito, anche quelle che sembrano verticali in realtà strapiombano di svariati metri. Il settore, nell’insieme, è comunque caratterizzato da vie più tecniche e meno aggettanti; una fra tutte Zen. Faccia (quasi) verticale, tecnica, rinvii molto distanziati, in stile Ceuse. Impossibile azzerare, su questa così come su tutte le altre vie. Mark conferma, spiegando che è stato molto contento di trovare un cordone in posto che permette di moschettare prima del chiave…

I run out per arrivare in catena sono all’ordine del giorno, come Jaco e io scopriamo su Mosaic; e non è affatto vero che quando la chiodatura si allunga i passaggi siano più facili. Al terzo tentativo, Jaco chiude Mosaic (5.12c - 7b+), mentre io rimango a bocca asciutta, cadendo ancora una volta all’ultimo rinvio. Il tiro non avrebbe potuto avere un nome più azzeccato, visto il dedalo di buchi e buchetti in cui ci si muove; spesso piatti, mai banali da scoprire e tenere. Godimento puro.

(sotto: Elena su Mosaic)

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Jon, dopo essersi imbattuto in un nido di vespe che l’hanno costretto alla ritirata, decide di provare Shocker, 5.14b (8c); un’altra “face climb” dagli appigli minuscoli, che consumano la pelle come una grattugia. Ci stupiamo nel vedere quanto sia alto il primo spit; Mark ci spiega che è una cosa abbastanza comune, e che è altrettanto comune partire con il primo rinvio pre-moschettonato.

(sotto: Jon su Shocker)

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La nostra giornata si conclude alle due; anche se potessimo fermarci più a lungo non avremmo la forza di provare nient’altro. Le mani fanno male, non vogliono nemmeno più stringersi attorno alla corda. Il viaggio di ritorno è lungo, almeno sei ore di macchina, senza contare le soste per fare benzina e per rifocillarsi, ma corriamo già con la testa ai progetti per la prossima volta che saremo qui.

Un consiglio: mai fermarsi la domenica al MacDonald di Stanton (l’unico posto dove prendere una specie di caffè prima di mettersi in viaggio). L’odore di hamburger e patatine alle tre di un’assolato pomeriggio domenicale potrebbe essere fatale. Ma avete mai visto qualcuno mettere il dolcificante nella Coca Cola???

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lunedì 2 aprile 2012

Dal Purgatorio al paradiso!

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Non è facile descrivere Red River Gorge; l’estrema varietà dei settori non permette di abbracciare con poche parole la diversità dei paesaggi e le forme sorprendenti che la roccia assume di volta in volta. L’arenaria - rivelata dall’acqua che nel corso dei millenni ha scavato il terreno - non è mai uguale a se stessa, benché sia sempre assolutamente perfetta.

Bisogna andare a cercarla fra una vegetazione lussureggiante, quasi subtropicale, addentrarsi fra gli alberi che nascondono anfiteatri immensi che sprofondano verso il basso, disegnando profili incombenti e senza fine, incredibilmente aggettanti.

Strapiombi continui solcati da fessure o tempestati di buchi, e ancora muri che regalano un’aderenza perfetta e per qualche metro soltanto l’illusione della verticalità.

Due giorni non bastano, ma non basterebbero nemmeno anni.

Senza Mark e Jon - i nostri compagni di viaggio - saremmo stati perduti, molto probabilmente incapaci di decidere da dove incominciare.

Forse immaginando che dovessimo fare ammenda per i nostri precedenti errori, il primo giorno ci hanno portato a Purgatory, dove Jon aveva in progetto di chiudere Dracula (5.13b - 8a+); purtroppo abbiamo espiato tutti, ma in particolare Jaco e ancora di più io, alle prese con un’inclinazione e con prensioni cui è necessario fare l’abitudine. Basti dire che Mark ci prendeva in giro vedendoci inarcare microtacche piatte: “Bisogna pinzarle, basta mettere il pollice sotto, sono delle zanche”, ci ha poi spiegato con un sorriso.

(qui sotto: Jon su Dracula)

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Un nutrito gruppo di francesi, capitanato da Enzo Oddo, animava la falesia con una chiassosità più europea che americana, resi baldanzosi dal recente successo di Oddo su Pure Imagination.

Dylan, 17 anni, amico di Jon e Mark e frequentatore di Ann Arbor, guardava Oddo partire su Lucifer (5.14d - 8c+/9a, una delle vie più dure di Red River), cadere sul crux e riprovare alla ricerca del metodo. Anche lui aveva fatto i suoi tentativi sulla via, quasi silenziosamente, in compagnia del padre. Timido, riservato, ma sorridente. Per quel giorno poteva bastare; un resting da togliere, ma Lucifer è lì a portata di mano. “Forse vado al Motherlode”, dice a Jon prima di andarsene.

(in alto: una vista di Purgatory, qui sotto: Dylan su Lucifer)

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Ma che cos’è il Motherlode? La traduzione più vicina potrebbe essere “una quantità della Madonna”, intendendo probabilmente “roba che spacca tanta ce n’è”. Immaginate un anfiteatro di arenaria a strati orizzontali, alto circa 40 metri sulla verticale, con un’inclinazione continua di 45°, talvolta di più; la linea di calata dalla catena dei tiri più strapiombanti dista anche 30 o 40 metri dalla partenza.

Appena sceso dall’ultimo o penultimo tiro della giornata Transworld Depravity (5.14a - 8b+), Dylan ci saluta e ci chiede “Allora, cosa ve ne pare?”

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Mark e Jon ci mostrano le vie una dopo l’altra, mentre si godono il nostro stupore. In falesia non c’è quasi nessuno, sembra di avere attraversato i millenni per tornare alle foreste della preistoria, passata o futura. Una cascata sottile cade in mille goccioline dalla corona di arenaria che chiude il cielo, quasi a sottolineare quel senso di distacco da tutto quello che c’è fuori, telefoni, televisori, rumori e asfalto, il XXI secolo in generale. La carcassa di una macchina, anche quella, appartiene a un altro tempo.

“Tipico del Kentucky, direi”, spiega Mark. “Qui la gente si ubriaca, beve tutto il giorno, e poi magari lancia la macchina giù da un dirupo”

Jon gli fa eco. “ ‘Ehi, tienimi la birra che ti faccio vedere che ne faccio di questa macchina”, ecco che può succedere qui in Kentucky quando bevono troppo”.

(To be continued…)

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