lunedì 26 novembre 2012

Stain

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Domenica. Ufficialmente l’ultimo giorno della vacanza in Kentucky. Non per tutti, però: Mark e Zach rimarranno ancora una settimana, e io tornerò a casa con Jaco ci ha (finalmente) raggiunti per il fine settimana. Ovviamente, per la legge di Murphy, si preannunciano giorni di sole e temperature miti.

Avendo deciso di scalare nella zona del Motherlode, le procedure di imbarco mattutine avevano subito una drammatica accelerazione, complice anche il cambio dell’ora; l’obiettivo era quello di arrivare in falesia prima di chiunque altro, per evitare la congestione al Buckeye Buttress, dove era nostra intenzione scalare. Con sole tre vie di riscaldamento a disposizione e due dei tiri più gettonati del settore, arrivare tardi significava riuscire a fare poco o niente.

Arriviamo e in falesia poco prima delle 9: non c’è ancora nessuno. L’aria è frizzante, ma il sole fa capolino fra gli alberi e promette di scaldare presto la roccia. Per la prima volta, riuscirò a scalare in tank top: non ho nemmeno dovuto tirare fuori il piumino dallo zaino.

Quando alle dieci e un quarto ci spostiamo al Buckeye Buttress, appena dietro i tiri di riscaldamento, Stain è già occupata.

Maledetto riscaldamento, dopo tutti questi anni dovrei saperlo che in simili casi ci si scalda sulla via… Ci sono già sette o otto persone su una superficie di 50 metri quadrati. In totale ci sono dieci vie nel settore, ma solo tre - Stain, Heart Shaped Box e un altro 7b - sono oggetto di interesse. Il ragazzo che sta provando Stain sembra disponibile, e ci mettiamo in coda. Contando me, Jaco e Zach, più il proprietario dei rinvii, siamo in quattro a provare la via.

Va bene. All’una dobbiamo partire, tre giri ci stanno.

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Ormai in falesia siamo quasi in 15. Mi agito un po’ e Jaco mi guarda minaccioso. “Tanto non c’è niente da fare”, sembra volermi dire. “Rassegnati.”

Respiro profondamente. Ce la faccio. Appollaiata sulla pietra, conto i giri che mancano al mio prossimo turno. Il tipo (che peraltro ci mette un’eternità e scala malissimo), poi Zach, poi Jaco, poi di nuovo il tipo. Poi dovrei esserci io. Attenzione. Elemento di disturbo.

La ragazzina truccata col top rosa shocking - sicuramente un’emula della DiGiulian - si mette in mezzo. “Dopo di lui vado io”, annuncia perentoria, senza chiedere niente a nessuno. Vorrebbe partire prima di Zach, ma la blocchiamo. Col suo cagnetto da zuppa in braccio dice “Allora vado dopo di lui”, e il tipo dei rinvii la fa passare. Sono le 12.15. Arriva altra gente, che per fortuna decide di non fermarsi, visto il casino.

La ragazzina è veloce, se non altro, ma il suo cagnetto microscopico e stizzoso morde il cane di Zach. Il tipo toglie i suoi rinvii e li sostituisce con i nostri.

12.30, finalmente è il mio turno. Non ho fissato bene tutti i passaggi e la stanchezza si fa sentire. Avrei bisogno di fare un altro giro con un bel recupero in mezzo, ma il tempo a nostra disposizione è esaurito. Dobbiamo andare.

Nel giro di tre ore siamo riusciti a fare solo due tentativi a testa. Mi sarebbe piaciuto godermi la splendida giornata. Le foglie che mormoravano sommessamente e gli uccellini che cantavano, il tepore del sole. Ma cavolo, mi sembrava di essere al Braccini. La densità di arrampicatori per metro quadrato verticale e orizzontale era degna della nostra benamata plastica torinese nelle più uggiose giornate di pioggia. Mi secca ammetterlo, ma quasi quasi si scalava meglio quando pioveva e faceva freddo… Mi cadevano le dita appena toglievo i guanti, ma almeno in giro non c’era nessuno...

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