domenica 29 gennaio 2012

Stokely

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Notte insonne a parte, l’ambiente promette bene. La nevicata notturna ha finalmente imbiancato il paesaggio, rendendolo quasi spettrale; appena usciti dall’agglomerato urbano, le case si diradano e i motel o i ristoranti lungo la strada sono perlopiù chiusi, le strade di accesso coperte di neve. Una generale sensazione di abbandono, eppure i cartelli pubblicitari che promuovono attività commerciali ricordano che d’estate la zona è ricca di turismo. Ottawa è a circa 800 chilometri di distanza verso est, verso nord ci sono solo foreste, ghiaccio e gelo.

Nel giro di mezz’ora arriviamo al parcheggio -innevato - del centro sciistico. Ci saranno un centinaio di macchine, con targhe in genere canadesi. Ovviamente tutti hanno già gli sci, o le ciaspole, e partono allegramente lungo le tracce battute, mentre noi saltelliamo nella neve fino al lodge, dove affitteremo gli sci e recupereremo la cartina della zona (http://www.stokelycreek.com/~stokely/images/stokelymapforweb.jpg).

Mentre la mappa non è un problema, l’equipaggiamento lo è già di più. Basta una manciata di secondi per capire che il ragazzo incaricato di trovarci sci e scarponcini ne sa quasi meno di me - il che è tutto dire; cerca di convincerci che per il pattinato vanno bene anche le scarpette morbide, e che i bastoncini devono arrivare a livello inguinale e non oltre. Jako inizia a frugare nell’armadio, mentre il poveretto continua a tirare fuori le stesse scarpe, per poi rimetterle subito a posto, in cerca di una calzata 38 che evidentemente non c’è. Dopo un tentativo abortito di pattinare con l’attrezzatura racimolata, decidiamo che conviene rassegnarsi al back country - sci più spessi, scivolata in avanti lungo i binari o in neve fresca - e riusciamo finalmente a partire per il nostro giro, senza risparmiare qualche borbottio non troppo sommesso e commenti poco lusinghieri all’indirizzo dei proprietari.

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Per fortuna la neve è così soffice e bianca, e i sentieri talmente solitari, che presto dimentichiamo le disavventure della notte e della mattinata e ci lasciamo rapire dal paesaggio. Il sistema di sentieri, battuti quotidianamente, si estende per circa 120 chilometri, ed è possibile spingersi per ore nella foresta senza attraversare una strada, o incontrare altre persone. Qua e là, provvidenziali rifugi di legno offrono la possibilità di fermarsi per riposare e rifocillarsi.

Questo piccolo paradiso - un grande paradiso per gli appassionati di sci di fondo e nordico - fu scoperto negli anni ’70 da un tale Chuck Peterson, che in compagnia di un amico tracciò la maggior parte degli itinerari attuali. Ciò che rende unico questo posto, oltre all’ambiente selvaggio, è la cosiddetta “lake effect snow”, la neve che si forma e cade quando correnti di aria fredda si scontrano con l’aria relativamente più calda dei grandi laghi. Fino a 4 metri all’anno.

A tratti cade la neve, fa capolino il sole, tira vento; il tempo sembra cambiare con estrema rapidità. Entriamo a riposare in un rifugio sul confine orientale di Stokely, a circa 20-25 chilometri dalla partenza; una stufa e della legna sono a disposizione degli sciatori, anche se in realtà la Norm’s Cabin è attrezzata per viverci. Alle pareti e al soffitto sono appesi articoli di giornale, foto, cartoline, e una lettera della Lipton che rispondeva a una richiesta di fornitura gratis di tè come sponsorizzazione al rifugio.

Lasciamo anche i nostri nomi sul libro del rifugio e ripartiamo. La neve non smette più di cadere…

Potete immaginare come si concluda la giornata…

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Verso Stokely, Canada

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Direzione Canada, appena oltre la frontiera settentrionale con il Michigan. Ci hanno parlato di Stokely come di un paradiso per lo sci di fondo, con circa un centinaio di chilometri di piste, battute e non, in un ambiente selvaggio e remoto. La strada è la stessa che ci ha portato, una settimana fa, a Boyne; l’interstatale 75 sale dalla Florida, attraversa tutto il Michigan e arriva fino a Sault Sainte Marie, in Canada. In realtà ci sono due cittadine con questo nome, una in Michigan, appena prima della frontiera, e l’altra in Ontario, appena dopo la frontiera. Pare che la prima sia il terzo più antico insediamento degli Stati Uniti, e che per gli indiani fosse un centro importante per la sua posizione, che assicurava abbondanza di cacciagione e pesca.

Quello che vediamo noi non rievoca la gloria delle tribù indiane, purtroppo. A mano a mano che saliamo verso nord gli spazi si aprono, i centri abitati sono sempre più lontani e addirittura, lungo la strada, un cartello avverte:

PRISON AREA

DO NOT PICK UP

HITCHHIKERS

Cosa che tradotta significa: non date passaggi agli autostoppisti, potreste avere brutte sorprese, visto che la zona ospita una prigione di stato… Con tutti gli episodi di Criminal Minds che abbiamo visto, non ci saremmo fermati comunque.

Passare la frontiera è uno scherzo. Canada e Stati Uniti sono separati da un ponte, presidiato sui due lati dalle rispettive polizie. I canadesi sembrano degli agnellini al confronto con i poliziotti USA , ma se lo possono permettere, vista la rigorosità del “Border Protection Service”: sanno che chi viene dagli Stati Uniti è stato controllato più volte, e molto bene.

Abbiamo scelto un albergo a Sault e non a Stokely perché a Stokely non c’è niente, a parte il centro sciistico e annesso lodge che si fa pagare 150$ a notte il lusso di essere sulle piste da sci. Sault Sainte Marie - soprassediamo sulla pronuncia - è una vera e propria città, un punto di passaggio obbligato per tutte le navi in transito da e per il Lago Superiore, sviluppatasi sull’industria siderurgica; una via di mezzo fra una città di frontiera e un polo industriale, il che - se si aggiunge il clima estremamente rigido - è tutto dire.

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Il nostro albergo appare un po’ equivoco, ma visto che abbiamo pagato poco evitiamo di porci troppe domande; il vecchietto alla reception è molto cortese, sembra voler fare del suo meglio per compiacerci. Ci avverte anche che nel bar collegato all’albergo ci sarà un po’ di musica, come ospiti potremo entrare liberamente. Grazie, grazie mille, ma domani mattina ci svegliamo presto…

Verso le undici e mezza, quando ci infiliamo sotto le coperte, avvertiamo qualche battito tecno in lontananza, segno che la serata è iniziata. Niente che possa disturbarci. Ma nel giro di dieci minuti il volume si è già alzato. Proviamo a costruire rudimentali tappi per le orecchie con la carta igienica, Jaco infila la testa sotto il cuscino e io la avvolgo in un asciugamano; non so come, riusciamo a prendere sonno. Ci svegliamo quasi subito, il volume è aumentato ancora, i vetri e i muri vibrano per i bassi della tecno sparata a palla, dall’esterno giungono gli schiamazzi degli avventori ubriachi. Il letto si muove quasi, io tento di convincere Jak a fare fagotto e cercare un altro albergo, ma lui mi fa notare che:

- è notte fonda

- là sotto sono tutti ubriachi e/o pesantemente alterati

- la buttafuori del locale è molto grossa e sarebbe meglio non doverci discutere

- sta nevicando a fiocchi grossi come pulcini

Be’, almeno sta nevicando. Almeno quello. Buona notte.

(segue)

mercoledì 25 gennaio 2012

Una vita in macchina

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Come stupirsi che da queste parti la gente passi tanto tempo in macchina? Non a tutti piace passeggiare in mezzo a una tempesta di neve, con vento sferzante e fiocchi tanto freddi da non essere nemmeno bagnati…

Ovviamente, per ridurre al minimo le necessità di spostamento, sono necessari:

- strade abbastanza grandi da permettere circolazione agevole anche nei centri cittadini

- parcheggi nelle vicinanze immediate o se possibile nelle vicinanze interne dei luoghi di interesse quali centri commerciali, uffici e così via

- abbastanza soldi per potersi permettere una macchina, il parcheggio (per un’ora in zona di uffici a Detroit abbiamo speso 13$) e quid da spendere nei soprammenzionati luoghi di interesse.

Fortunatamente il tempo cambia in fretta, anche grazie al vento che però, pur portando via le nuvole, contribuisce a diminuire sensibilmente la temperatura percepita, nonché a far sventolare appropriatamente la bandiera americana; e così, nel tempo necessario a farci spendere 13$ di parcheggio, il sole è tornato a splendere. Il che non significa che all’aperto si stesse meglio di prima: dieci minuti all’aria aperta ci hanno fatto desistere dalle migliori intenzioni turistiche, tanto che il Facciamo un giro? si è presto tramutato in un Torniamo alla macchina? tacito e consensuale.

Le strade erano già quasi perfettamente pulite. Incredibile. Sembrava che non avesse nemmeno nevicato, quando solo due ore prima c’erano cinque o dieci centimetri di un bel manto compatto e scricchiolante, qualcosa che da noi si avvicinerebbe a un’emergenza nazionale, di quelle da fare chiudere scuole e ponti.

Tutta quest’efficienza - molta per i nostri standard, ridotta per quelli americani - non cancella la realtà di una città depressa. Case sventrate lungo strade immense e deserte, verande sfondate, paesaggi da far west cittadino; dov’è finito il sogno americano che viviamo nel nostro bel quartiere residenziale?

Comunque, il far west delle periferie è un altro ottimo motivo per preferire la macchina alla deambulazione appiedata. Finisci per caso nel quartiere sbagliato, ma se non ti perdi e se non buchi una gomma, nel giro di qualche minuto ne sei fuori.

domenica 22 gennaio 2012

Weekend a Boyne Mountain

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Montagna è un concetto relativo. L’abbiamo appena scoperto. Quella che abbiamo visitato questo fine settimana si eleva a ben 100 metri sul livello del mare ed è, a tutti gli effetti, un panettone che spunta nel mezzo di una landa in cui lo sguardo si perde all’orizzonte senza incontrare ostacoli. Il dislivello dalla cima al fondo delle piste - a voler essere accomodanti - è di circa 300 metri.

Ci troviamo a quattro ore di distanza da “casa”, sul lato occidentale della penisola del Michigan, nella sua zona più settentrionale. In questo periodo dovrebbe esserci molta più neve, ma per ora l’inverno è stato mite, e di rado le temperature sono scese di molto sotto lo zero (anche se sabato il termometro era stabile sui -13°).

Comunque, la neve si deposita immediatamente, proprio grazie al freddo; sabato mattina, durante il tragitto verso nord, la highway 75 sembrava una pista da pattinaggio; la polizia non poteva nemmeno dedicarsi a controllare i limiti di velocità, impegnata com’era a soccorrere gli automobilisti scivolati fuori strada.

Il panorama è incredibile. Foreste ovunque, neve e foreste, e casette sparpagliate nella neve; zone in cui è più facile spostarsi in motoslitta che in macchina, talvolta.

Pur non disponendo di grandi dislivelli, lo spazio non manca, ed è per questo che lo sci di fondo, declinato come classico più che pattinato, è molto popolare, in tutto il Michigan. Qui a Boyne Mountain, anche in un periodo povero di neve, sono aperti quasi 44 chilometri di sentieri (sui 58 dell’intero tracciato). Sci e scarponcini ci vengono consegnati per due giorni senza che si debba lasciare un documento o una cauzione.

La prima ora con gli sci ai piedi è stata abbastanza drammatica; quando non era impegnato a spiegarmi come pattinare, Jaco si sarà sicuramente fatto qualche risata alle mie spalle. Ho sperimentato vari tipi di caduta, da ferma, all’indietro, pancia in avanti. Per fortuna, la neve è soffice e fredda, polverosissima; nonostante le mie frequenti cadute iniziali, sono riuscita a non bagnarmi nemmeno un po’. Il secondo giorno è andato molto meglio; grazie all’aiuto di Jaco sono riuscita a capire come si affronta una salita - almeno a livello teorico - e ho scoperto perché dicono che questo sport faccia bene al cuore. Curiosamente, tutti quelli che incrociavamo puntavano proprio su questo aspetto, oppure sul consumo di calorie. Da noi, nessuno avrebbe salutato degli sconosciuti - in primo luogo - e tantomeno avrebbe puntato l’attenzione sul lato fitness dell’attività. Con tutti quegli alberi, quella neve, quei paesaggi, le calorie erano proprio l’ultimo dei nostri pensieri.

Le tracce per il fondo si snodano nella zona ai piedi del panettone da sci di discesa, e alcuni percorsi più difficili salgono verso gli impianti e scendono dall’altro lato della montagna. Qualche folata di vento ci faceva cadere addosso fiocchi di neve come piccoli cristalli di ghiaccio.

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L’altra attrattiva della zona è il lago Charlevoix (nella foto) che si allunga dalla costa verso l’interno, come un serpente. Il lago ghiaccia completamente, in inverno, ma pare che adesso non sia ancora ben consolidato, e la barista che ci ha servito la birra sconsiglia di camminarci sopra (l’avevamo appena fatto, saltellando anche ripetutamente per saggiarne la consistenza). Anche il lago Michigan ghiaccia, ma non del tutto, e su quello è davvero meglio non camminare…

martedì 17 gennaio 2012

Rigorosamente Indoor - Pontiac

Per prendere confidenza con il territorio, incominciamo ad esplorare uno dei luoghi che ci sono più familiari a casa nostra: la palestra di arrampicata, un rituale quotidiano.

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Ci sono due palestre dalle nostre parti, una ad Ann Arbor, un’oretta di distanza, l’altra a Pontiac, più vicina a quella che provvisoriamente chiamiamo “casa”, ma che in realtà è un residence per profughi lavorativi.

A Pontiac bisogna fare attenzione, ci dicono. Non prendere taxi, non allontanarsi dalle strade principali di sera, guardarsi le spalle. Perfetto per prendere confidenza con il territorio. Mentre ci avviciniamo alla palestra - ovviamente perdendoci e percorrendo tutte le strade peggiori e fuori mano - ci rendiamo conto che intorno a noi c’è un bel po’ di miseria, poco evidente nelle zone commerciali e nei downtown. Assi di legno inchiodate sulle porte e sulle finestre, case fatiscenti comunque abitate. Periferie abbandonate a se stesse dopo il crollo dell’industria automobilistica. Zone da non frequentare dopo il tramonto.

Anche la palestra sembra un po’ fatiscente, in stile bat-caverna, ma ciò non ne pregiudica l’efficacia. Il muro rotante per criceti - regolabile per velocità e inclinazione - sferraglia e sussulta mentre si mette in moto; e noi che pensavamo fosse solo un aggeggio da record televisivi… No, esiste davvero, e la gente lo usa volentieri!

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Il muro è alto, parecchio alto, con settori anche molto strapiombanti; mentre sulla sinistra, una zona con un piccolo bunker e un fungo è dedicata al boulder. Niente circuiti, o corda o blocchi. Ovviamente grado americano. La ribalta del blocco, oltre lo strapiombo, conduce direttamente al meritato riposo, un divano trapuntato a scacchi su cui è inevitabile sedersi, anche se solo per un minuto…

Dicono che i piemontesi siano chiusi e diffidenti, ma la gente di qui non scherza affatto, e ci fa sembrare dei simpaticoni decisamente inclini a socializzare: per un totale di sei o sette ore finora trascorse in palestra, ci hanno rivolto la parola solo due volte. Non che non siano gentili e cortesi, anzi; si limitano a rispondere a un’eventuale domanda e poi tornano a farsi i fatti loro.

Niente incoraggiamenti, niente Yeah man o You can do it spesi per gli estranei con cui si condivide una sessione di blocchi. Ci danno un’occhiata, e tornano a farsi i fatti loro. Sarà lunga.

lunedì 16 gennaio 2012

Detroit!

Siamo arrivati, finalmente, dopo un volo di nove ore da Francoforte. Mentre l’aereo sorvolava il Canada ci siamo goduti la vista di fiordi ghiacciati e di una terra bianca e fredda che si stendeva a perdita d’occhio; laghi e ancora laghi, fino al Michigan, dove sapevamo che avremmo trovato temperature ben diverse da quelle a cui siamo abituati. Termometro stabile sotto lo zero.
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In realtà, fatta eccezione per il vento gelido del primo giorno, le temperature non sono poi troppo diverse rispetto alle nostre, ma pare che - come da noi - quest’inverno sia eccezionalmente caldo.
Comunque, di Detroit noi abbiamo visto solo l’aeroporto, visto che la località dove stiamo, e staremo, è quasi a un’ora di macchina verso nord. Per ora non abbiamo ancora assaggiato la decadente metropoli post-industriale, non abbiamo attraversato la famosa 8mile (quella di Eminem, per intenderci) e non abbiamo ancora assaporato la cultura musicale della città… Se gli artisti nati qui sono diventati così famosi, ci sarà un perché… Probabilmente erano davvero incazzati!
Un lampo di quella decadenza - per non dire miseria - di cui in tanti ci hanno parlato, lo abbiamo intravisto attraversando Ann Arbor, la cittadina sede dell’Università del Michigan.
La via che ci portava verso il centro era un po’ infossata fra due argini erbosi, su cui sorgevano le tipiche casette in stile americano, legno e patio, una piccola scaletta che conduce a livello strada, un fazzoletto di verde attorno. Assi di legno sbarravano le porte e le finestre di molte di quelle case, semplicemente abbandonate, nemmeno messe in vendita.

venerdì 6 gennaio 2012

Tarda estate… americana

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Quindici giorni di estate a novembre, a San Vito lo Capo. Non avremmo potuto chiedere di meglio. Mentre intorno infuriava la bufera - alluvioni ovunque e telefonate dai parenti che si allarmavano per i bollettini di brutto tempo - noi dovevamo accuratamente evitare tutte le falesie al sole per rischio di insolazione, e riuscivamo a fare non uno, ma tre o quattro bagni in mare. Ci chiedevamo perplessi in quale periodo dell'anno fossero frequentabili, le falesie al sole. Ci avevamo provato due volte, dopo avere scrutato il cielo e deciso che forse la giornata sarebbe stata nuvolosa. Ovviamente avevamo scalato, ma a fatica, desiderando solo o quasi solo di poterci tuffare in acqua. In quindici giorni di vacanza avevamo riposato solo due o tre giorni, lo stretto indispensabile.

La sensazione era di non poter perdere tempo, e di dover assorbire tutto il caldo possibile per riuscire ad affrontare il freddo che ci aspettava. Non quello dell'inverno, ma quello del Michigan, dove ci saremmo trasferiti dall'inizio del 2012, prima Jak, poi io. Il Michigan è famoso per essere uno stato lacustre, non certamente per le sue montagne; è più vicino al Canada che al Colorado, o alla California. Ma allora, per quale motivo avevamo deciso di andarci? Per farla breve: dopo mille ragionamenti e discussioni, abbiamo convenuto che fosse, in fin dei conti, un'avventura. Due anni o tre in un altro continente, per scoprire se anche così lontano dai luoghi noti e dalle amicizie consolidate saremmo riusciti a cavarcela.

Presa la decisione, abbiamo dovuto affrontare la realtà: saremmo stati lontani, molto lontani, da montagne e falesie. Qualcosina in zona lo si trova, a volerlo cercare, ma le distanze sono qualcosa di inconcepibile per due torinesi, abituati ad avere le falesie più vicine a quaranta minuti di macchina, Finale a un'ora e mezza, Ceüse a due e mezza e Arco a tre ore di macchina. In compenso le palestre non mancano, e i voli interni paiono abbastanza economici da permettere spostamenti relativamente frequenti. Red River Gorge è tutto sommato vicina, ma ancora più vicine sono le cascate di ghiaccio verso il confine con il Canada.

Tutto il resto si perde su una mappa, dove i centimetri equivalgono a centinaia di chilometri. Cercheremo di percorrerne il più possibile.

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