sabato 14 luglio 2012

El Matador

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Sette e mezza. Eravamo i primi, nemmeno i turisti avevano ancora preso d’assalto Devil’s Tower. L’aria era fresca, l’ombra avvolgeva la parete ovest dove avevamo intenzione di scalare. Jaco conosceva già la via, o meglio, ne conosceva il tiro più duro, El Matador, che è anche una delle lunghezze più famose e scalate della torre, ma questa volta ci avrebbe portato fino in cima: eravamo alquanto seccati non poter rispondere ai turisti che chiedevano che cosa ci fosse, lassù. Visto che avevamo poco tempo a disposizione - circa quattro ore prima che il sole inondasse il lato ovest, friggendoci come uova - Jaco avrebbe tirato tutte le lunghezze, ma siccome era il mio compleanno, Jaco ci avrebbe fatto uno sconto sulla giornata…. La fortuna di avere sposato una guida alpina! Né io né Wes saremmo stati in grado di a) salire e b) salire in fretta. Il giorno prima mi ero lanciata (o meglio, mi avevano lanciato) su un 5.10d da prima, ma El Matador era tutta un’altra storia. 60 metri di via fra due colonne che piano piano si avvicinano, dando la possibilità di spaccare da metà tiro in poi, dopo una prima parte di incastro di mano e di piedi. Sembra una liberazione, poter finalmente scaricare il peso spaccando fra le due colonne, ma dopo i primi metri i polpacci iniziano a bruciare, e la sosta è ancora lontanissima. Ogni tanto qualche appiglio microscopico si presta a dare un po’ di sollievo, ma per il resto si va avanti un passo dopo l’altro, sposta il peso sulla spalla, palmo della mano contro la roccia, alza un piede, spalma, sposta il peso, alza l’altro piede. Sembra di essere alla deriva in un oceano di linee verticali che corrono via verso l’alto. Su una colonna vicina uno spit solitario protegge una placca su cui non si riesce a intravedere nessun appiglio, e un maillon abbandonato conferma che probabilmente non c’era davvero nulla.

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Negli ultimi tre tiri le fessure si aprono e la roccia diventa meno compatta, più difficile da proteggere. Sembra che da un momento all’altro possa cadere tutto, ma non succede niente. In cima c’è già il sole, feroce, che brucia una radura erbosa in leggera pendenza. Bastano poche decine di metri per raggiungere il punto più alto, segnato da un mucchio di rocce e da un palo di ferro piantato in verticale; attorno il paesaggio di leggere colline, verde sbiadito segnato da alberi, qua e là, a 360°. Qualche decennio fa un paracadutista spericolato era rimasto bloccato sulla cima di Devil’s Tower per parecchi giorni; era riuscito a lanciarsi e ad atterrare sulla torre secondo i piani, ma non aveva pianificato la discesa, e il cattivo tempo aveva tenuto lontano i soccorsi per quasi una settimana. Ci caliamo sotto il sole, osservando la gente sul sentiero che guarda verso di noi, con il naso all’insù.

La sera siamo ospiti a cena al Lodge, insieme ai clienti di Frank; sul tavolo, al posto che mi è stato assegnato, c’è un bigliettino di auguri scritto a mano. Attraverso la vetrata cui Frank dà le spalle si vede Devil’s Tower. La presenza della torre, e la presenza di Frank, rendono questo posto speciale. Non avrebbe potuto esserci un modo migliore di festeggiare un compleanno….

Blessed are Those who Live Out their Dreams. E’ proprio vero.

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