martedì 10 luglio 2012

Devil's Tower, ovvero Grizzly Bear's Lodge

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Lasciare Devil’s Tower non è stato facile; la nostra tenda era piantata nel campo di Frank Sanders, amico di Jacopo dai tempi del suo primo viaggio in America; Frank è più che una guida, è l’anima del luogo, un mistico che ama la vita e che si è scelto come buen retiro uno dei luoghi più suggestivi degli Stati Uniti. Il lodge di Frank non era adatto alle nostre tasche, ma agli amici Frank concede di piantare la tenda nel suo campo, e di usare la doccia che ha costruito apposto. Una doccia all’aperto, con qualche doga di legno per un minimo di intimità, da cui si può ammirare la torre, in lontananza, dietro agli alberi.

Devil’s Tower - o meglio, la Dimora dell’orso - è un luogo sacro per gli indiani Lakota, che la utilizzavano per orientarsi e trovare le Black Hills; le colonne che la caratterizzano sarebbero state create dagli artigli di un orso gigantesco che inseguiva alcune fanciulle. La geologia, più prosaicamente, parla di magma raffreddatosi troppo in fretta, sotto terra, e fratturatosi per effetto della pressione. Colonne a 4, 5, 7 facce ne costituiscono la struttura. Una fuga prospettica inimitabile, un paradiso per chi ama l’arrampicata in fessura.

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L’arrivo era stato un po’ difficile, dopo il viaggio di almeno venti ore attraverso Indiana, Illinois, Wisconsin, South Dakota e infine Wyoming. We, Jaco ed io c’eravamo dati più volte il cambio, ma una tirata unica non era fattibile. C’eravamo fermati a Mitchell, un luogo di passaggio, che tuttavia cerca di fregiarsi di qualche attrattiva: città natale di McGovern, sito di scavi archeologici (non chiedeteci cosa vadano cercando…) ma, soprattutto, sede dell’unico, inimitabile Palazzo di Mais, una specie di castello in stile russo decorato su tutta la superficie di mais, in chicchi e pannocchie. Capisco ora perché uno dei miei scrittori preferiti odiasse tanto le distese di mais… Da Mitchell in poi, per ore e ore, solo più colline e praterie bruciate dal sole e mucche al pascolo. Il selvaggio west, il far west, era qui. Erano queste le terre dei bisonti e degli indiani, i cosiddetti “sioux”, in realtà Lakota e Dakota, un vasto insieme di tribù accomunate dalla stessa cultura, che popolavano le pianure centrali degli Stati Uniti; cacciati anche dalle Black Hills ai tempi della corsa all’oro e ora confinati nelle riserve. Molti indiani disapprovano che si scali la torre, un luogo per loro sacro (il cui vero nome sarebbe la “dimora degli orsi grizzly”) cosicché, in segno di rispetto, nel mese di giugno si pratica un’astensione volontaria dalle escursioni e dall’arrampicata.

Noi arriviamo, manco a farlo apposta, il 1° luglio. Centinaia di turisti arrancano sul sentierino asfaltato da cui si alzano vampate di calore, molti già esausti per una camminata brevissima; ma appena ci vedono, con gli zaini e le corde, iniziano a tempestarci di domande.

Ma scalate la Torre? E arrivate fino in cima? Ma quanto ci va? Una signora decide di seguirci, dopo avere dichiarato di volerci vedere scalare. Per fortuna il sentiero è in salita e la perdiamo di vista dopo pochi minuti.

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Abbiamo giusto qualche ora, ma le vie sono tutte di due o tre tiri; solo alcune salgono fino in cima, a causa della scarsa qualità della corona superiore (più a lungo esposta all’erosione degli elementi), mentre altre sono conosciute per un singolo tiro. Considerato quando sono state salite, e come, i gradi danno da pensare. Anni 70, anni 80. E questo sarebbe un quinto? I tiri facili spesso sono talmente dipendenti da una corretta tecnica di fessura che, per i non iniziati, risultano più ostici dei gradi duri, e così un quinto di fessura di mano può dare molto più filo da torcere che una fessura di dita. Sia Jaco sia Wes usano i piedi in maniera disinvolta, io cerco di imitarli, ma è complesso capire la dinamica del movimento, come infilare il piede, torcerlo e caricare il peso, cercando al tempo stesso di ridurre il dolore. Grugnisco e sbuffo, appena posso sfrutto le tacche e i quarzi della roccia, molto simile al granito (in realtà è basalto), anche per dare sollievo alle mani dolenti. Infilo, incastro, tiro, infilo, incastro, tiro; sono quasi convinta che quest’arrampicata non faccia per me.

Non potevo sapere che nessuno sfugge al fascino di Devil’s Tower, e che in soli tre giorni questo posto mi avrebbe conquistato, come aveva già fatto con Jaco prima di me.

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