lunedì 29 ottobre 2012

Super storm Sandy

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Sarebbe stato tutto perfetto. Peccato che Super Storm Sandy, oltre a tutti i danni che sta facendo sulla costa orientale, abbia anche rovinato i nostri programmi, con una meteo mai vista prima nella storia di Red River. Pioggia ininterrotta e freddo polare. Mark e Zach, come tutti gli anni, hanno affittato una cabin da 15 persone, per due settimane: la cabina funge per quei quindici giorni da centro di gravità per tutti gli amici che passano da qui e per quelli che vengono apposta. Non una baita spartana, ma una di lusso, dotata di biliardo, idromassaggio sulla veranda, ampia cucina e tre bagni. Mark si è portato dietro tutti gli utensili per cucinare, e ogni sera prepara qualche piatto delizioso, giusto per sfatare il luogo comune che gli americani non sanno cucinare. Alla partenza la macchina era talmente piena che abbiamo dovuto mettere gli zaini sul tetto, in un borsone che avrebbe dovuto essere impermeabile. Ovviamente non lo era: scarpette, imbrago, corde… Tutto zuppo. Se non altro, il cabin è ben riscaldato, e il mattino successivo era tutto asciutto.

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Mark su Prometheus Unbound

Come ho anticipato, l’unico neo, per ora, è il tempo. Sabato pioveva, ma la temperatura era ancora sopra i dieci gradi, e la motivazione era alta: Zac si era alzato alle sei per registrarci a Torrent Falls, dove solo i primi 5 che si iscrivono hanno diritto a scalare con altre tre persone. Di base, la falesia è su terreno privato, e i proprietari gestiscono così l’accesso. Entrare non è scontato, e la falesia è una delle migliori, con gli strapiombi tipici di Red River.

Domenica è stata molto più impegnativa: più freddo, e pioggia che anziché diminuire col passare delle ore aumentava di intensità. Molte falesie in realtà offrono riparo, e anche la nostra, Sanctuary, era riparata. Dal bordo della parete, in alto, una cascata descriveva un arco che cadeva lontano, sugli alberi, spruzzando appena la parete e la fila di spit che portavano alla catena di Jesus Wept (7c), il tiro che avrei provato.

Sapevo già cosa mi aspettava, perché sul tiro di riscaldamento ero arrivata in catena con le lacrime agli occhi per il freddo alle mani. Sapevo di dover stringere delle tacche, ma sotto le dita non sentivo niente: non per i primi quindici minuti. Boulder in strapiombo, riposo su quelle che dovevano essere delle prese buone ma che a me sembravano blocchi di ghiaccio, boulderino tecnico, muro facile e passo chiave su biditi, appena sotto il tetto. Iniziavo a sentirmi bene lì, su quell’ultimo movimento di precisione, a due rinvii della fine della via.

Cinque minuti dopo, nonostante i guanti e il piumino, ero di nuovo in fase di congelamento avanzato.

Ma come diavolo fanno a chiudere i 9a in queste condizioni? Che cos’hanno al posto del sangue? Lava?

Tra la ragazzina di undici anni che chiude l’8c+ e Adam Ondra che fa il 9a+ flash (ma magari è più facile, a quanto pare), sembra che nessuno dei big patisca più di tanto il freddo: e oggi oltre al freddo c’erano pure le raffiche di vento, che portavano la temperatura a circa zero gradi. Tempo previsto per domani: come oggi, con in più qualche nevicata.

Come direbbe qualcuno: aderenza perfetta.

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Super storm Sandy

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Sarebbe stato tutto perfetto. Peccato che Super Storm Sandy, oltre a tutti i danni che sta facendo sulla costa orientale, abbia anche rovinato i nostri programmi, con una meteo mai vista prima nella storia di Red River. Pioggia ininterrotta e freddo polare. Mark e Zach, come tutti gli anni, hanno affittato una cabin da 15 persone, per due settimane: la cabina funge per quei quindici giorni da centro di gravità per tutti gli amici che passano da qui e per quelli che vengono apposta. Non una baita spartana, ma una di lusso, dotata di biliardo, idromassaggio sulla veranda, ampia cucina e tre bagni. Mark si è portato dietro tutti gli utensili per cucinare, e ogni sera prepara qualche piatto delizioso, giusto per sfatare il luogo comune che gli americani non sanno cucinare. Alla partenza la macchina era talmente piena che abbiamo dovuto mettere gli zaini sul tetto, in un borsone che avrebbe dovuto essere impermeabile. Ovviamente non lo era: scarpette, imbrago, corde… Tutto zuppo. Se non altro, il cabin è ben riscaldato, e il mattino successivo era tutto asciutto.

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Mark su Prometheus Unbound

Come ho anticipato, l’unico neo, per ora, è il tempo. Sabato pioveva, ma la temperatura era ancora sopra i dieci gradi, e la motivazione era alta: Zac si era alzato alle sei per registrarci a Torrent Falls, dove solo i primi 5 che si iscrivono hanno diritto a scalare con altre tre persone. Di base, la falesia è su terreno privato, e i proprietari gestiscono così l’accesso. Entrare non è scontato, e la falesia è una delle migliori, con gli strapiombi tipici di Red River.

Domenica è stata molto più impegnativa: più freddo, e pioggia che anziché diminuire col passare delle ore aumentava di intensità. Molte falesie in realtà offrono riparo, e anche la nostra, Sanctuary, era riparata. Dal bordo della parete, in alto, una cascata descriveva un arco che cadeva lontano, sugli alberi, spruzzando appena la parete e la fila di spit che portavano alla catena di Jesus Wept (7c), il tiro che avrei provato.

Sapevo già cosa mi aspettava, perché sul tiro di riscaldamento ero arrivata in catena con le lacrime agli occhi per il freddo alle mani. Sapevo di dover stringere delle tacche, ma sotto le dita non sentivo niente: non per i primi quindici minuti. Boulder in strapiombo, riposo su quelle che dovevano essere delle prese buone ma che a me sembravano blocchi di ghiaccio, boulderino tecnico, muro facile e passo chiave su biditi, appena sotto il tetto. Iniziavo a sentirmi bene lì, su quell’ultimo movimento di precisione, a due rinvii della fine della via.

Cinque minuti dopo, nonostante i guanti e il piumino, ero di nuovo in fase di congelamento avanzato.

Ma come diavolo fanno a chiudere i 9a in queste condizioni? Che cos’hanno al posto del sangue? Lava?

Tra la ragazzina di undici anni che chiude l’8c+ e Adam Ondra che fa il 9a+ flash (ma magari è più facile, a quanto pare), sembra che nessuno dei big patisca più di tanto il freddo: e oggi oltre al freddo c’erano pure le raffiche di vento, che portavano la temperatura a circa zero gradi. Tempo previsto per domani: come oggi, con in più qualche nevicata.

Come direbbe qualcuno: aderenza perfetta.

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sabato 20 ottobre 2012

Zen!

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Se a Red River c’è un muro verticale, potete essere sicuri di trovarci lì. Normalmente gli arrampicatori vengono a Red River in cerca degli strapiombi, ma ho come l’impressione che noi stiamo sistematicamente tentando di evitarli…

Ma un muro come quello di Zen and the Art of Masturbation (7c, the Gallery) è semplicemente un capolavoro, soprattutto perché oltre a una sequenza di tacche furiose, il passo chiave è un dinamico davvero serio, con lunghe cadute assicurate. Fino a qualche tempo fa, ci racconta Mark, il lancio non si poteva proteggere, perché lo spit era piazzato in maniera da poterlo moschettonare solo dopo il dinamico: cadendo, si arrivava sistematicamente al terzo rinvio, a quattro, cinque metri da terra. Qualche buon’anima ha piazzato un cordino: a voi decidere se moschettare prima o dopo…

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(Thanks to Matt for shooting the pictures!)

Zen richiederà un po’ di lavoro, almeno per me. Quel dinamico, in continuità, è il vero ostacolo. Domenica ci consoliamo chiudendo a vista un 7a+ che verrà sicuramente sgradato, vista la propensione nazionale per il “sandbagging”, ovvero il grado stretto per mettere in crisi gli arrampicatori che vengono dopo… E in effetti, non abbiamo ancora trovato un tiro che sia facile per il grado, anzi, quasi sempre è il contrario.

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Il campeggio, e le falesie, brulicano di arrampicatori, decisi a sfruttare l’autunno, indubbiamente la stagione migliore. Non solo americani, come c’è da aspettarsi, ma anche tantissimi europei, attirati dalla fama ormai internazionale di Red River. E pensare che prima del 2007 questo posto era quasi snobbato! L’affollamento è uno dei motivi per cui Mark e gli altri hanno spostato le due settimane in “cabin” verso la fine di ottobre, anziché scendere a Red River, come d’abitudine, a inizio o metà ottobre. La prospettiva di trascorrere qui un’intera settimana, anziché fare le solite toccate e fuga dal venerdì alla domenica, è a dir poco esalante. Le prime vacanze dell’anno!!!

venerdì 12 ottobre 2012

Di campeggi e altre amenità

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Si dorme in macchina? Be’, così avevamo deciso, ma in realtà siamo riusciti a dormire in macchina solo la prima notte: dopo avere scoperto che ci sono i bunk bed a 8$, ci rifugiamo prontamente nella camerata, che in realtà è vuota. Perché non in tenda, direte voi? Be’ perché in primo luogo questo non è un campeggio, è un terreno agricolo trasformato in accampamento militare, senza alberi né erba, con un grosso capannone centrale in cui si può fare vita sociale fra i tavoli e i divani pulciosi e buttarsi per terra a dormire senza raccogliere la brina della notte sul saccoapelo. E in quanto terreno agricolo più che ameno campeggio verdeggiante, il nostro desiderio di immergerci nella natura è alquanto ridotto.

In tutto il campeggio ci sono solo quattro toilette, o bagni, e due docce. Considerati gli odori maschi che si sentono in falesia, ci pare che il problema della doccia non sia molto sentito. In compenso, internet funziona benissimo, e tutti sono molto gentili.

Verso le sette del mattino di domenica sentiamo il cuoco che ciac ciac ciac ciac taglia le cipolle per la colazione (io immagino siano cipolle, magari è qualcos’altro, forse bacon), ma se non altro abbiamo dormito bene. Sempre sperando che non ci siano passati i topi, di lì...

Un grosso pick-up Ford è parcheggiato davanti al capannone col motore acceso: probabilmente le emissioni di quel bestione equivalgono a quelle di tutta la città di Torino. Altro che Euro 3, 4 e 5, qui i motori devono puzzare, altrimenti che macchine sono?

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Il capannone: sul lato sinistro, un piccolo pannello (e sui materassi ci si dorme); sul divano, una bambina addormentata nonostante il casino intorno a lei.

Giornata nuova, falesia nuova. Non resistiamo alla tentazione di fare una vista a Eastern Skybridge, su consiglio di Mark. Veniamo invariabilmente attratti da Soul Ram, un 12b a cinque stelle (cinque, dico cinque!) firmato Porter Jarrad. Io ne sono all’oscuro, ma la guida spiega che la via è dura per il grado (e te pareva che ne scegliamo una facile) e che bisogna fare attenzione a non perdere la testa…. Il perché lo capiamo in fretta. Altro che Ceüse, qui di spit hanno veramente fatto economia, anche e soprattutto nelle sezioni dure. Il muro è perfettamente verticale e di magnesite nemmeno l’ombra: più spesso che volentieri ci troviamo a strizzare qualsiasi cosa, cercando il modo per alzare i piedi e arrivare all’appiglio successivo. Che sarà un po’ più in alto, ma dove non si sa. il climax della mia giornata è un volo eterno da spit (in cui avrei voluto passare il rinvio) a spit precedente: cinque metri di distanza, per due di caduta, uguale dieci. Non me ne accorgo nemmeno, ma appena mi stacco dalla parete caccio un urlo che finisce solo quando finalmente sento la corda in tensione. Jaco, sotto, se la ride. “Piaciuto il volo?” mi chiede, con un sorrisetto furbo. Lui lo sa bene, di voli ne ha fatti almeno cinque, in quel punto. Come no. Animo, siamo solo a metà via….

venerdì 5 ottobre 2012

The answer

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Gli dèi congiuravano contro di noi, ma ce l’abbiamo fatta. A causa di qualcuno (non diciamo chi) che aveva lasciato un portafoglio in un luogo non bene identificato, e delle conseguente necessità di recuperare detto portafoglio, anziché partire alle cinque e arrivare a mezzanotte siamo partiti alle sette e mezza e arrivati alle quattro di mattina. Ma ce l’abbiamo fatta. Se non altro, gli amici che erano partiti alle 4 sono rimasti imbottigliati, immobili in autostrada per un’ora buona, a causa degli onnipresenti “construction works”. Avete presente fare un’autostrada col cemento, anziché con l’asfalto?

Lungo la strada, un’insegna fosforescente con scritto “Christ is the answer”, ben visibile dall’autostrada, ci ha fatto riflettere sul possibile paradosso di avere un incidente lì, davanti a quella scritta al neon. Sì, eravamo stanchi, ma ci sembrava una prospettiva tarantiniana. D’altronde, dovremmo essere abituati ai cartelloni di propaganda religiosa: uno particolarmente interessante (che puntualmente ci fa ridere, sempre in Ohio) dice: “Food for the soul has no calories”. Jaco sostiene che il prete in questione sia particolarmente spiritoso. Oppure gli americani particolarmente fissati con le calorie, decidete voi.

Questa volta abbiamo scelto l’opzione “cheap”: campeggio scassone e si dorme in macchina. La crisi del mattino (dovrei dire del mezzodì, vista l’ora in cui ci alziamo) è evitata per un soffio: ho preso il fornello, ma non la bombola. Impossibile iniziare la giornata senza caffè, ma per fortuna in giro nella “cucina” c’è un bollitore: no, non voglio sapere che cosa ci galleggi dentro, grazie. La cucina è quella che vedete sotto, una struttura di legno che ripara i commensali dalla pioggia, tavolacci di legno con relative panche e un lavandino. No, niente fornelli. La desolazione che vedete sotto è dovuta al fatto che alle 12 di mattina (sabato ci siamo svegliati un po’ tardi) in campeggio non c’era più nessuno. La cucina era tutta per noi. Che fortuna...

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La scelta per la giornata era caduta sulla Muir Valley: in pratica, un’immensa proprietà privata, curata dal proprietario che ha costruito due parcheggi per i climber e una serie di scale che costituiscono l’avvicinamento più rapido alla falesia. Le scale non sono però l’accesso “pubblico”, ma forse gli siamo simpatici, perché ci rivela il segreto. Essere stranieri ha i suoi vantaggi, gli italiani fanno un po’ esotico.

La scelta della falesia è una scommessa, perché nella Muir Valley c’è la maggiore concentrazione di vie facili di tutte la zona, e in effetti i parcheggi sono pieni. Ma la fortuna ci assiste: tutti gli arrampicatori che incontriamo lottano per strapparsi i 5.9, e dal 5.11b in su non scala nessuno.

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(Il campeggio Land of Arches al risveglio)

I colori dell’autunno ci lasciano senza fiato. Rosso, giallo intenso, tutte le sfumature del verde, incredibilmente vividi nell’aria frizzante. E’ svanita la cappa di umidità dell’estate, i serpenti sono tornati nelle loro tane e il bosco è carico di profumi. In compenso, con l’autunno i climber si sono svegliati tutti, e sono nel pieno della loro attività.

Arrivo in catena su un tiro di riscaldamento e di fianco a me sento un tipo che protesta vivacemente perché la sua fidanzata, da sotto, vuole che lui rimetta i rinvii che ha appena tolto - scalando da secondo - dal loro 6b. Ci tengo a precisare che il tipo in questione era arrivato in falesia dispensando a noi e agli altri presenti consigli su cosa fare, quale via scalare, quale fosse più dura e quale non valesse il grado. L’esperto di turno.

“No che non li rimetto, i rinvii, siete matti!” “Sono pazzi” borbotta fra sé e sé. “E’ pericoloso, dondolarsi sulla corda passata solo in catena”, mi spiega, un po’ in imbarazzo per il mio sguardo perplesso. Panico da pendolo, è ovvio. Ma in realtà c’è anche la percezione diffusa che sia meglio evitare qualsiasi attrito con il moschettone di catena dei tiri, e persino con gli anelli inox. In molti si calano in doppia. La sabbia dell’arenaria che si deposita sulla corda in effetti consuma facilmente il metallo, e ci sono stati dei casi di moschettoni (di rinvii) lasciati in posto che si sono spaccati di netto a causa di una caduta, ma qui si parla di anelli inox… Sono Pazzi Questi Americani!

(Segue)